Carne cruda

Giacché la donna è spesso paragonata ai fiori sono costretta a usare tale abusata metafora. Non tutti i fiori sbocciano nello stesso periodo, alcuni lo fanno prima altri lo fanno dopo. Non tutti i fiori sono belli. Così anche le donne.  Non tutte le donne sono belle- e per le sfortunate che  belle non sono la vita non è affatto lieve- e soprattutto sono poche le donne belle a sedici anni. E’ un privilegio di poche elette. Ma prima o poi sbocciano un po’ tutte.

Mi prepari per favore due mazzi di fiori: uno più bello per la donna che voglio conquistare e l’altro un po’ meno bello per l’amica cessa. Ad ognuna il suo fiore.

Scusi se mi permetto, ma perché vuole regalare i fiori anche all’amica?

Ho letto che alle donne piace il non essere espliciti. Dovrebbe cogliere la differenza tra i suoi fiori e quelli dell’altra ma è velata,  lo capisce? E’ un gioco, è seduzione.  E’ diverso da presentarsi lì pateticamente con un unico mazzo di fiori… non conquista, lo sa? Così io rendo omaggio alla bellezza femminile e alla dama il cui cuore rapirò.

Lei è un dongiovanni signorotto, ma anche l’altra ragazza si accorgerà della differenza, non crede?

Mi chiami pure così. Veramente secondo me nessuno le ha mai regalato dei fiori, apprezzerà il gesto nuovo. Sono perfetti. Grazie mille.

Arianna è bella, ha sedici anni ed è molto bella. Non è che a sedici anni ci siano molte preoccupazioni se si è belli, infatti Arianna vive in un mondo tutto suo, forse non proprio suo, fatto di fondotinta, gloss, scarpe e simili, un mondo pieno di ragazzi che entrano e escono dalla sua vita con molta rapidità. C’è in Arianna il senso della conquista, ama fare finta di essere stata conquistata e conquistare. Ha fatto suo il gioco seduttivo, almeno per quello che si intende seduzione a sedici anni, ha dalla sua un atteggiamento innato molto grazioso, che in un mondo ove la virilità del femminile la fa da padrone colpisce e non poco. Non è mai volgare a dire il vero, né sfacciata, è molto elegante, molta velata in questo suo gioco. Gioco che le è costato caro giacché ha perso quasi tutte le amiche che aveva, ha fregato a ciascuna di loro il ragazzo almeno una volta, e si sa il femminile non perdona questi torti. Così Arianna è abbastanza sola, ha l’intelligenza per rendersene conto, nel confessionale e nel suo rapporto con Dio ammette sempre di avere un po’ sbagliato, ma che colpa ne ha Arianna se i ragazzi delle sue amiche alla fine preferiscono lei? E’ una colpa essere belle? Le sue ex-amiche la definiscono troia, non si può pomiciare nel giro di due settimane con due persone diverse, si sa. Lei accetta tutto con un atteggiamento passivo che è  molto diverso dalla rassegnazione, a volte si potrebbe dire che in realtà non le interessa proprio ciò che la circonda, e cosa ancora più terribilmente affascinante che non le interessa nemmeno quello che ha dentro di sé. La sensazione che si ha nel stare accanto ad Arianna è che lei abbia capito, abbia ricevuto la grazia di capire, che non è altro che una macchina, e questo non la turba, non è per lei una scoperta, è lei, è intrinseca. Per questo non ha reazioni forti. Non piange quando i ragazzi che molla piangono, non le fanno alcun effetto,  non si scompone alle grida delle ex-amiche che le urlano dietro, non ha affatto alcun significativo tratto umano, a parte il corpo intendo.  Penso che non abbia desideri fa il tutto per meccanica. Se dovessi definire Arianna userei proprio meccanica: Arianna meccanica, autistica a suo modo, del tutto indifferente a qualsiasi cosa.

Non ho capito niente del tuo discorso. Mi sembri un po’ confusa però… Sai cosa c’è da fare di matematica?

Ari, come faccio a non essere confusa? Mi vedi? No guardami Ari!  In certi corpi regna la bellezza. Nel tuo corpo regna la bellezza.  Non nel mio. Avrei voluto avere un corpo in cui regnasse la bellezza, mi trovo ad avere un corpo pieno di cicatrici segno del dolore che fu, e che è, di un corpo mai accettato e che ho sempre tentato di violare, non per modificarlo ma solo per fargli capire che non l’ho scelto che non mi va  bene, che io lo odio. Vorrei non un corpo diverso, so che non lo posso avere, vorrei solo avere la capacità di trovare la bellezza che c’è tra una cicatrice e l’altra. Perché c’è  bellezza tra una cicatrice e l’altra non è vero? Mi sarebbe  d’aiuto se qualcuno  trovasse gradevole il modo in cui mi manifesto come presenza fisica, ma temo  che ci dovrò arrivare da sola. Nella mia mente tutto è confuso Ari, io so che il mio problema è il mio corpo. Faccio fatica persino a camminare, a trascinare queste enormi cosce che mi ritrovo, come faccio a non avere confusione in me? Vedo il tuo corpo snello passarmi accanto, essere osservato da tutti, essere apprezzato, essere ammirato, essere amato, sorridente e pimpante  mentre io fondamentalmente cammino sola cercando di non guardare la mia ombra, mmirando anche io il tuo corpo e la bellezza che non mi è concessa.  Come fai a non essere confuso se sei così? Prova a metterti nei miei panni, come fa a non venirti voglia di farti del male con le lamette, con gli stuzzicadenti che strusci forte sulla pelle, con le bottiglie che vuoi svuotare, e con il cibo che continui a mangiare?

Ma non dire sciocchezze anche io devo dimagrire un po’ ma non ne faccio mica una tragedia. Ma gli esercizi vanno fatti tutti?

Il patetico dialogo  è ovviamente tra Arianna e l’amica cessa. Mentre per definire Arianna abbiamo dovuto usare “meccanica” per l’amica cessa non c’è alcuna necessità di dare ulteriori definizioni. E’ contenuta miseramente in tale definizione, cessa intendo, e poi dal suo monologo abbiamo capito il necessario. Le due elemosinavano a vicenda l’una all’altra la propria compagnia – cos’è poi l’amicizia se non questo?- Arianna perché ormai era stata abbandonata da tutte le altre, e l’amica cessa perché solo Arianna se la filava. Che tragedia avere sedici anni, è tutto così chiaro a sedici anni, e loro sapevano benissimo che cosa volevano l’una dall’altra, volevano la stessa cosa, era un subdolo patto non detto, non scritto, mai confessato, ma di cui erano perfettamente a conoscenza: si usavano l’un l’altra, usavano il loro rispettivo corpo per starsi accanto,  nel loro rapporto non c’era nient’altro che due corpi seduti nella stessa camera. E’ terribile elemosinare amore, ma quanto è terribile elemosinare compagnia?

Il dongiovanni di cui si parlava sopra invece è un  personaggio alquanto ermetico, che ha voluto ben nascondersi dal mio sguardo indiscreto, quindi di lui non so dire molto, e in realtà non mi interessa affatto. So solo che ha cercato di conquistare Arianna, con i suoi fiori, il suo corteggiamento, ha provato a starle vicino, poi ha dovuto farsi amica l’amica cessa. E’ successo che lei se ne sia innamorata e anche il baldo giovane piano piano ha scoperto che la compagnia dell’amica cessa gli era necessaria, e che in fondo di Arianna gli importava il giusto. Ci sono cose più importanti dell’aspetto fisico, c’è la comprensione, il dolore che si riesce a condividere, e di dolore l’adolescenza è piena, diciamo che si può condividere molto e per molto tempo. Arianna non fu felice di questo legame eppure il dongiovanni non le interessava affatto, ma si sa come funzionano queste cose, si convinse di amarlo. Lo conquistò perché ci sono cose più importanti della comprensione e del dolore che si riesce a condividere. E’ facile intuire quale fu il dramma provato dall’amica cessa, ma non si rese capace di nessun moto di orgoglio o più semplicemente di dignità, subì quel oltraggio e per paura di finire con solo il suo enorme corpo in mezzo a una stanza accettò di stare accanto ai corpi avvinghiati di Arianna e del dongiovanni, vide frantumarsi il suo cuore, ingrassò ancora di più, aumentarono le cicatrici sul suo corpo, e non sbocciò, non sbocciò affatto.

 

Lievi, ree, perpetue vigliaccherie.

–          Lo finisci tu, per favore?

–          Uffa, ma perché fai così?

–          Così come?

–        Iniziare a mangiare le cose poi lasciarmele sempre a me… penso che il mio aumento di peso sia dovuto a queste   tue strategie.

–          Ma non sono strategie. E’ che il cibo dopo un po’ mi annoia.

–          Il cibo non può annoiare. Smettila di dire idiozie.

–          Come no? Già al secondo boccone mi annoio, figurati finire un piatto intero.

–          Le tue stravaganze…. Va beh basta che non mi imponga di mangiare anche il tuo piatto di pasta. Oggi proprio non ce la faccio.

–          E’ che non si butta via il cibo, non sta bene, a me dispiace. Lo sai.

–          Certo, certo sono una specie di pattumiera allora?

–          Sì, ma sei carina come pattumiera.

–          Grazie… e io intanto mi gonfio.

–       Meglio. In realtà sto cercando di farti diventare obeso così smetti di essere un desiderabile oggetto sessuale e rimani mio per sempre. Le relazioni hanno bisogno di sicurezza. Mio. Mio. Mio.

–          Sono tuo?

–          Certo che lo sei.

–          Non lo sapevo. Mi fa piacere. E chi l’ha detto?

–          Io.

–          Mi vuoi tuo per sempre?

–          Sì, vorrei che tu mi aiutassi sempre.

–          In cosa ti aiuto?

–          Finisci il mio piatto.

–          Sei la solita egoista.

–          Scusa se il mio mondo gira intorno a me. Il tuo intorno a chi gira?

–          Intorno a me e te.

–          Non è vero.

–          E’ vero.

–          Dimostramelo.

–          Finisco il tuo piatto.

–          Questo non lo fai per me e te.

–          Sì che lo faccio per me e te. Lo faccio per il nostro equilibrio.

–           Lo fai perché sei un mangione.

–          No.

–          Sì.

–          No. Finirò il tuo piatto e lo farò per me e te, è la mia dimostrazione d’amore quotidiana. Non so quanto saranno piacevoli per te le dimostrazioni d’amore che mi dovrai dare tra qualche chilo.

–          Non me ne importa niente della tua pancia.

–          Di cos t’importa?

–          Che tu mi ami.

–          Sei dolce.

–          …

–          …

–          …

–          …

–          Tu te lo ricordi perché stiamo insieme?

–          Non devo ricordarmelo, so perché stiamo insieme.  Tu non lo sai?

–          Non me lo ricordo più.

–          Tu sei qui con me ora… e non sai perché?

–          No.

–          Ah! Ci risiamo… Fantastico!

–          Tu perché sei qui con me?

–          Perché fino a qualche minuto fa non c’era un posto diverso e una persona diversa con cui volessi stare, ma poi tu te ne esci fuori con queste storie qui e allora mi sa che forse c’è qualcosa che non funziona.

–          Ho letto una cosa oggi. L’ha scritta Bukowski. Te la leggo?

–          Non me ne frega niente di Bukowski. Voglio che tu mi dia una spiegazione una volta per tutte del perché te ne esci con queste storie assurde. Stiamo insieme da un anno e mezzo ormai e quando uno pensa di avere una qualche pseudo certezza, e magari inizia a progettare un futuro, a sognare di finire sempre il tuo cazzo di piatto, tu tiri fuori  discorsi del genere.

–          ‎”L’amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa star bene, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.”

–          E allora?

–       Ecco io ho pensato che in fondo mi facesse comodo che tu mi finissi il piatto, e che tu mi ascoltassi e che tu mi capissi e mi facessi sentire meno sola, che tu fossi per me un punto di riferimento, che venissi a trovarmi a lavoro, che uscissi con i miei amici e che tu ci fossi nella mia vita. Poi però ho pensato che in realtà non so se tu mi capisci. Ma alla fine che importanza ha se mi capisci o meno? L’importante è stare bene insieme, giusto? Perché mi devi capire? Poi che vuol dire capire? Non lo so. Sono confusa. Non so se ti amo. Come faccio a sapere se ti amo? Come faccio a capire che non è solo un’esigenza? Che non è l’abitudine? Cos’è poi l’amore? Io non lo so, io ti guardo e sono serena, sono tranquilla, mi fai stare bene. Ma è questo poi l’amore? A volte mi sembra un po’ una cosa da vecchi, come se noi ci facessimo compagnia. Litighiamo per sciocchezze, parliamo della mia famiglia, la tua famiglia, i nostri amici, tu mi racconti com’è andata la giornata, io ti dico cosa ho fatto, tu mi parli del tuo lavoro, io ti parlo delle cose che ho scoperto, leggiamo il giornale infamiamo i politici, andiamo a cena, andiamo a feste odiose, io mi ubriaco, facciamo l’amore… tutto sempre uguale senza un motivo ormai. C’è un motivo? Lo vedi tu il motivo? Non è così che immaginavo l’amore. La pensavo una cosa improvvisa, qualcosa che mi squarciasse, lacerasse, che mi aprisse a me, che mi facesse capire chi sono, qualcosa che mi spostasse il centro di massa, un fenomeno elettromagnetico che scombussolasse tutto, tutti gli equilibri, che mi cambiasse, che mi facesse crescere, e invece sono ferma. Sono ferma. Sono ferma. Sono ferma. Non è cambiato niente rispetto a un anno fa. Tutto uguale, ho dovuto modificare solo un po’ di orari. Sono un po’ confusa.

–          Io ti capisco. Io ti conosco. Tu stai delirando. Ora non sai cosa fare, ti stai annoiando, probabilmente non ti piace questo posto, oppure vuoi ferirmi in qualche modo per qualcosa che ho detto secoli fa,  e  così te ne esci con discorsi del genere, così per dare alla tua giornata un po’ di patetico movimento. E’ questo che vuoi tu? Ti annoio? Mi stai dicendo che ti annoio?

–          Non ho detto che tu mi annoi.

–        Sì che l’hai detto, ma a te annoia tutto. Noi facciamo le cose che fanno tutti. Okay? Cosa vuoi fare? Hai bisogno di un  viaggio vuoi che andiamo da qualche parte? Non ti basta la nostra quotidianità? Non è abitudine la nostra, è quotidianità, è questo che fanno le persone, è così che si amano. Tutti i giorni. Non un giorno sì  e l’altro no.  Cosa vuoi fare di straordinario poi? Proponi! La facciamo.

–          Ma io non voglio fare niente. Cioè ragionavo un po’ così… sono stanca…

–          Cosa c’è? C’è qualcun altro?

–          No. Perché devi sempre pensare che ci sia qualcun altro?

–          Perché ciò che dici non ha senso. Noi stiamo bene. Siamo felici insieme. Perché devi rovinare tutto così per nulla poi? Tiri sempre fuori questo discorso, che poi finisce nel nulla sempre. Che senso ha?

–          Scusa. Scusa. Scusa. Scusami davvero.

–          Cosa vuoi? Puoi dirmi cosa vuoi? Ti prego! Non ti capisco.

–          Ma non voglio niente. Ragionavo un po’ ad alta voce dai.

–          Devo sapere se mi ami perché io ti amo da morire, ti amo davvero e se tu non mi ami, o non sei sicura di amarmi io devo saperlo. Mi ferisce, ci soffro, ma devo saperlo.

–          Ti prometto che non leggerò più Bukowski.

–          E’ Bukowski il problema?

–          Mi sa di sì.

–          Tu non sei sana. Lo sai?

–          Lo so.

–          Mi hai fatto arrabbiare.

–          Scusa. E’ che sono un po’ sottopressione, un sacco di pensieri, un sacco di cose da fare.

–          Okay. Okay.

–          …

–          …

–          Mi ami?

–          Non lo so.

–          Non ha senso nulla se tu non mi ami.

–          No.

–          Perché non ti sforzi di amarmi? Io ti amo così tanto.

–          Ti amerò.

Why?

“Death, death is everywhere. Where is the world? Why are we alone? Where is Allah? Why? Why this? Death. Death everywhere. Everywhere.”

 

Per quanto ancora saremo gelosi portacenere di noi stessi?

 

Elezioni

Certi teste sono abitate stabilmente dalla serenità. Non so, è come se le avesse scelte qualcuno, come se le avessero selezionate, e non c’è niente o quasi che insidi tale armonia, è ordine. Certamente ci deve essere una specie di neuroni eletti, i vincitori nella tremenda gara della sopravvivenza, è così che deve selezionare Dio. Non c’è fervore, né fermento, niente di eccezionale in queste menti ma loro non lo sanno, c’è in loro una sana voglia di stare bene, una specie di divina chiamata alla pace. Un normale non volere soffrire. Sono menti sane. Elette.

Non è il mio caso. Nella mia testa tutto si fa confuso, tutto vibra, i pensieri sono scollegati, e le sinapsi devono avere subito forti scosse, non c’è niente di eccezionale nemmeno nella mia testa, e anche questo è tormento perché io lo so, lo capisco, sento le scosse dei miei neuroni perdenti. La mia testa è una pentola a pressione senza valvola di sfogo, cerco di trattenerla perché non scoppi davanti agli occhi di tutti. Non voglio che scoppi davanti agli occhi di tutti. Non lo sopporterei. Io devo continuamente fuggire dalla mia elezione al tormento. Che corsa vana! Che crudele il mio Dio, ha deciso di farmi soffrire e di farmi piacere questa sofferenza. Che crudele il mio Dio, ha scelto la mia mente per metterci dentro il suo fuoco. Che crudele il mio dio! Cosa gli avrò mai fatto?

 

Inquinamenti acustici

Parlo piano. Nella mia testa c’è tanto rumore, frenesia, caos. Tutto si muove invano, almeno che lo scopo non sia quello di causarmi laceranti mal di testa. Non sopporto tutto questo. Vorrei silenzio o musica. Vorrei ordine. Armonia. Fuori dalla mia testa è ancora peggio. Tutto si muove, tutto ha uno scopo, tutti hanno un posto dove andare, tutti parlano, fanno rumore. In questa loro confusione ci sono dei perché ed è ancora più terribile. Non possono fare quello che devono fare piano?

Io parlo poco perché non riesco a organizzare i miei pensieri e soprattutto perché non ho niente da dire. Non ascolto nemmeno molto, cerco di isolarmi acusticamente, vorrei essere sordo, vorrei non avere questi mal di testa, vorrei pace. Silenzio. Mi muovo anche lentamente perché non ho fretta e perché voglio osservare tutto. Fisso spesso il vuoto, soprattutto quando sono con altre persone, non so perché lo faccio credo che mi aiuti, fa spaventare la gente, gli fa andare via e mi fa rimanere solo.

Un tempo c’era lei, non mi ricordo il suo nome. Non mi ricordo nemmeno come ci siamo incontrati, né lo sguardo che non ci siamo scambiati. Non ricordo come lei ha iniziato a parlarmi né perché ha voluto starmi accanto. Amavo pensare che mi avesse scelto, non importava per quale motivo, era la sua scelta che mi affascinava. Lei era sicura o forse terribilmente sola, di quella solitudine che le donne non riescono a sopportare, una solitudine che io non ho mai capito, ma che l’ha portata misericordiosamente tra le mie indegne braccia. Lei riusciva a tirarmi fuori le parole di bocca, parlava al posto mio, non penso che mi ascoltasse, riempiva con il suo flusso continuo di parole senza senso i terribili abissi dei miei silenzi. Parlava come tutti gli altri, non mi ascoltava come tutti gli altri, ma era armonia, era suono dolce, era come se le sue parole mi cullassero, era silenzio. Era ordine. Era lei, c’era, era accanto a me e mi imponeva il suo strano silenzio rumoroso.

Ma i giochi durano poco, stancano presto e se n’è andata. Mi ha lasciato come l’attore che abbandona il suo pubblico al palcoscenico vuoto.

L’ultima volta in cui l’ho vista era bellissima. Aveva un vestito di un colore che non ricordo, i capelli acconciati in maniera strana, delle scarpe che le davano un’insolita instabilità. Il suo volto era diverso, pieno di colori. Era bella come mai, come nessuna. Mi ha portata al teatro. Mi ha fatto sedere in platea, continuava come sempre a parlare. Eravamo soli. Il teatro era buio. C’era solo una luce che illuminava il palcoscenico. Si diresse verso quella luce con la sua nuova camminata e il vestito che la ostacolava. Smise di parlare e partì una dolce musica, iniziò a muoversi con grazia, facendo una strana danza che mi rapì.

Poi di colpo la musica finì. Lei se ne andò. Mi lasciò lì a guardare l’inutile luce, ad aspettare che lo spettacolo rincominciasse di nuovo.

Crudele quel silenzio e quella vana attesa, ma sono ancora lì.

 

Ti chiamerò “senza titolo”.

Non so da voi, ma da me piove e anche tanto. La pioggia mi piace perché rimbalza e io posso fare il bilancio energetico dell’urto con il terreno. ( Una delle cose più strabilianti che ti insegnano i professori di fisica è che quando lanci una pallina contro il muro, non lo vedi ma in realtà fisicamente sposti il muro. Momenti di onnipotenza!) Non è vero, mi piace la pioggia perché mi piacciono le cose che rimbalzano, non lo so mi danno l’idea che non si cade mai davvero, poi mi piace il rumore, il fatto che la natura si fa sentire, ma il motivo per cui mi piace veramente veramente  veramente è che sporca i vetri delle finestre, adoro pulire i vetri.

Non volevo parlare della pioggia in realtà avrei voluto scrivere un post tutto arrabbiato pieno di parolacce in cui facevo venire fuori tutto la mia misantropia, ma ho gli occhiali sporchi.

Perché sei tutto arrabbiata Faty?

Perché trionfa il mediocre, trionfa l’ovvio, lo scontato, l’assolutamente inutile. Trionfa il disonesto. Le cose scritte per attirare il lettore. Trionfano notizie spudoratamente false ma che fanno contento chi legge, e non sto parlando solo del Giornale. Trionfano due idioti che cantano a Sanremo. Perché trionfano gli idioti che godono dei trecento morti egiziani e che invocano altre rivoluzioni nello stesso modo e con le stesse dinamiche. Trionfa Fabio Volo. Trionfa Moccia (ho scoperto essere anche uno degli illuminati e illuminanti autori del festival della canzone italiana). Trionfa la Canalis che non riesce a mettere due parole insieme. Trionfano discorsi tipo: bisogna leggere di più, gli inceneritori non devono esistere, no alle centrali nucleari, poco importa se non sai di cosa stai parlando. Trionfano i cerebrolesi che danno ricette su cose che non conoscono. Tutti parlano. Tutti fanno vibrare le corde vocali. Tutti sentenziano. Tutti hanno una soluzione. Tutti hanno una parte da cui stare. Ma soprattutto perché la gente dei Marlene preferisce “Festa mesta” a “Stato d’animo”, e io questo proprio non lo posso sopportare.

E te ne accorgi solo ora?

No, ma ora il mio narcisismo finito sotto i piedi mi consente di vedere che non sono molto lontana da quanto detto sopra.

Meglio tardi che mai… soluzioni?

Studierò un sacco e non parlerò più.

 

Detto questo volevo aggiungere che oggi mi sento come una farfalla aptera, e io odio le farfalle figurati quelle aptere.

 

Mai abbastanza

C’è un intruso nel mio letto. Mi sfiora, mi accarezza, mi bacia. So chi è. Lo conosco. L’ho voluto.  E’ un intruso.

Si alza e rimaniamo io e l’orma del suo corpo. Non è più suo. E’ già tuo.

Non mi ricordo la forma del tuo corpo, non ti ho toccato abbastanza. Ti accarezzo ora. Lui mi vede e si compiace. Non c’è. Ci siamo tu ed io.

Sento il suo odore. Non mi ricordo il tuo profumo. Io non ti ho sentito abbastanza. Respiro le lenzuola.Lui si compiace.

 

Io ti cerco.

 

Lui sorride. Mi bacia. Non mi ricordo i tuoi baci. Io non ti ho baciato abbastanza.

Ti bacio. Ti stringo. Sento il peso della tua assenza che mi schiaccia. Mi schiaccia. Ancora.

 

Ti cerco.

 

Ti stringo più forte. Ti bacio di nuovo. Io non ti ho mai abbracciato abbastanza. Non ti ho mai baciato abbastanza. Io non conosco più il tuo sapore. Io non ti ricordo.

Inalo con voluttà un corpo non tuo.

Lavo le mie lenzuola milioni di volte. Per lavare via il tuo odore, la tua orma, il tuo ricordo. Ti ho dimenticato. Giuro che ti ho dimenticato. Ho dimenticato le tue parole, i tuoi baci, le tue carezze, ho dimenticato anche il tuo volto, le tue promesse, la tua barba.

Ma non riesco a dimenticare la tua assenza, il mio letto tutto sommato vuoto, i baci meccanici, gli abbracci sterili.

 

Ci sono amori puri

E’ anche San Valentino oggi. Allora svesto per qualche secondi i panni della vecchia zitella acida a cui “San Valentino” non interessa e scrivo del mio amore. Forse unico. Forse no. Io mi innamoro con facilità. Anche di Bondi. Questo post lo voglio dedicare all’uomo che ho sempre amato. All’uomo che con i suoi movimenti ha colpito e affondato il mio tenero cuore. All’uomo a cui sognavo di stare accanto. All’uomo il cui doppio passo mi faceva saltellare il cuore. All’uomo che mi ha fatto piangere più di qualsiasi altro uomo, incluso mio padre, soprattutto il cinque maggio  duemiladue. All’uomo che mi ha fatto venire la voglia di mettermi in gioco. Di potere sognare anche io. All’uomo che un po’ ha cambiato la mia vita. All’uomo che ha tradito la mia fiducia e spezzato il mio cuore abbandonando i miei colori.

Oggi appende le scarpe al chiodo, visto come si è ridotto ultimamente non è che sia proprio un peccato ( è un periodo difficile per i nati il 22 settembre) e io non me la sento di non celebrarlo in questo mio spazio virtuale perché il Ronaldo dei tempi d’oro un po’ mi manca.

 

 

 

Non mi piace il tuo amore.

A me non piacciono le tue camicie stirate.
Non mi piacciono nemmeno le tue giacche.
E le tue scarpe lustrate.
La tua macchina pulita.
Non mi piace il tuo profumo invadente.
E nemmeno il tuo volto da pubblicità.
Non mi piace la tua barba così morbida.
Non mi piacciono le tue mani curate.
Il tuo sorriso.
E le tue braccia possenti.
Non mi piacciono le tue premure.
I tuoi tentativi di compiacermi.
Le tue attenzioni.
Le  strategie che usi.
I tuoi messaggi prevedibili.
I tuoi discorsi seri.
Il tuo parlarmi di musica, politica, arte.
Non mi piacciono le cose che fai.
I fiori.
I regali.
I baci delicati.
Gli abbracci misurati.

Non mi piace il tuo presunto amore.
Non mi piace vederlo germogliare.
Così scontato.
Così banale.
Vuoto.

Come tutti gli altri.

Potresti piacermi Tu.
Ma non ti vedo.

Questioni genetiche.

Certe cose non si scelgono.
Si subiscono e basta.

La Natura sa essere crudele, lo è anche il fato, e persino il caso. Capita di mettere alla luce un bambino proprio nel momento in cui i pianeti sono allineati in modo tale da marchiarlo con l’infelicità garantita per tutta la sua esistenza. Capita di trasferire lui la parte del proprio genoma meno efficace ad affrontare la selezione naturale. E capita di fargli vivere esperienze che confermeranno il suo non essere stato eletto. L’essere la specie che perderà, quella che si estinguerà, che vivrà all’ombra, che subirà. La selezione naturale.

Vedi tuo figlio crescere e ti rendi conto che ha una marcia in più rispetto alla media, nello sport, nella scuola, nella relazioni, lo vedi essere diverso, e te ne compiaci, in cuor tuo speri di avere trasferito la parte migliore dei tuoi geni, pardon, la parte più utile dei tuoi geni, speri che possa affrontare la vita con spavalderia e che riesca a essere felice. Poi tuo figlio cresce e vede cose che non dovrebbe vedere, tu te ne disperi, avresti voluto proteggerlo, non ci sei riuscito, ma lo vedi reagire bene tutto sommato, non dà segni di particolare sofferenza, e così la speranza di avere trasferito la parte di te più utile a sopravvivere ti pervade ancora. Poi cresce ancora e con lui un certo filo di tristezza, inquietudine, e malinconia, tu lo vedi e la speranza si fa sempre più flebile, vorresti prendere parte a quel mare di solitudine e angoscia, ma non ti fa entrare, e allora guardi, guardi da lontano.

Sai che potrebbe fare tutto, tutto ciò che vuole,  potrebbe diventare qualsiasi cosa, potrebbe essere persino felice, se solo lo volesse, se solo lo scegliesse, ma sai che non lo sceglierà, che non lo vorrà, che non la potrà scegliere; lo vedi affogare nei sui dubbi e tremare dalla paura, riconosci in lui una mediocrità diversa dalla media, una mediocrità più alta, quella che fa più male, quella che ti fa vedere che esiste qualcosa di alto e altro, ma che non ti ci fa arrivare, ti lascia lì a guardarla, ammirarla e sognarla. Lo vedi, ne rabbrividisci, e un giorno seduti a cena dici a tuo figlio: “Mi dispiace, mi dispiace davvero. Avresti dovuto essere più nella media. Non così. Nella media, dovevi essere nella media.”

Dizionario taurocolico: psicoanalisti per caso

Psicoanalisti per caso: Persone dalla dubbia intelligenza che invece di limitarsi a parlare con sconosciuti o semisconosciuti del tempo, di politica, di musica, teatro, libri, si spingono in strane analisi psicologiche del loro interlocutore. Conoscono le soluzioni ai problemi dell’altro senza conoscerne le beghe, ed è per questo che, sappiamo con certezza, gli alieni li stanno studiando con particolare cura. La loro caratteristica predominante è l’assenza di curiosità: non fanno domande, danno risposte, si preoccupano per lo più di fare in modo che l’interlocutore risulti ai loro occhi esattamente uguale a come loro stessi lo descrivono. Particolarmente affetti da immobilismo, non riescono a vedere turbamenti e cambiamenti, ma questo non fa in modo che trovino nei meandri della loro “furbizia sociale” il buon gusto di tacere.  Si riconoscono da dialoghi di questo tipo:

Psicoanalista per caso: Secondo me tu… bla…bla…bla…
Vittima: Ma… veramente… anche no!
Psicoanalista per caso: Guarda, tu non lo vuoi accettare, io lo capisco, non è facile, ma io vedo le cose dall’esterno… è così.

Sono in ognidove, particolarmente affetti da questa patologia conoscenti e pseudoamici.
Che Dio ci protegga e freni la nostra lingua e la nostra mano!

Disumano

Sul resto non mi sbilancio, ma una cosa è certa si è corpo.  Si nasce corpo, si impara a metterlo in funzione, se ne sentono le fatiche e si muore corpo.

Philippe aveva difficoltà. Aveva difficoltà enormi dove nessun altro le aveva. Si sentiva in imbarazzo quando mangiava, dormiva, camminava, starnutiva, copulava. Non riusciva da accettare il suo essere corpo. Quando camminava non sentiva i suoi piedi che sfondavano il terreno, sentiva solo la sua anima, così la chiamava lui, che volteggiava, che volava, e volava tramite quello squallido mezzo. Era infastidito da tutto ciò che lo rendeva umano, dal contatto con la terra, dalle sue mani, dalle sue esigenze corporali: dormiva il meno possibile, disprezzava il suo dormire, mangiava il meno possibile e lontano dagli altri, niente ristoranti o bar, non voleva vedere quella meccanica del tutto animalesca dell’inserire cibo impuro dentro la propria bocca, era infastidito persino dalle dolcemente turbinose esigenze sessuali, e cercava di fare il possibile per tenerle lontane. Aveva un senso etico, così lo definiva lui, particolare. Sembrava uscito direttamente dalla mano creatrice di Dio, sembrava Gesù. Si domandava sempre se fosse stato difficile per Gesù, con quello che era, con l’infinito che si portava appresso, dovere essere anche corpo, dovere mangiare, dovere dormire, si domandava se era difficile quanto per lui, e in cuore suo confidava che la risposta fosse sì, che non era stato facile nemmeno per Gesù ed era uno di quei rari momenti in cui si sentiva un po’ meno solo.

Philippe non era umano, e volevo con tutto il cuore non esserlo; non sentiva suoi tutti quegli atteggiamenti un po’ meschini, un po’ viscidi ma che ci rendono tali e complici tra di noi, come se fosse un patto non scritto di rispettiva misericordia per le rispettive piccolezze, non era appartenente alla grande famiglia umana, aveva scelto di metterne in discussione nel modo più stupido tutto ciò che la caratterizzava. E’ chiaro che questo lo escludeva da tutto. Così la gente gli parlava, comunicava con lui, a volte cercavano addirittura di aprire il proprio intimo, ma sempre con riserve, mai del tutto, mai fino in fondo, e mai in maniera vera, è difficile parlare con persone come Philippe; gli volevano persino bene, ma avevano sempre presente che lui non era dei loro, era altro. Insomma Philippe non ebbe mai in vita sua la possibilità di potere provare il sano piacere dell’appartenere, sentirsi parte.

Non provava rancore, perdonava tutto, si tratta di natura, ci si può fare poco, era nato così. Quando giocava a calcio Bernard gli distrusse il ginocchio con un intervento in scivolata da dietro sulla gamba d’appoggio, quando ritornò in campo un anno dopo si scontrò di nuovo con lui, che  recidivo anche in quell’occasione pensò bene di fare un intervento assassino distruggendo per sempre i suoi mai nati sogni di gloria, non importava lui lo perdonò. Perdonò anche coloro che un giorno decisero che Philippe era un peso per l’umanità e lo picchiarono a sangue, perdonò coloro che non riuscivano a perdonargli il fatto di perdonare costantemente,  gli uomini pretendono sempre l’esclusiva, perdonò lei che non l’amava, perdonò suo padre che lo uccise con le sue parole, perdonò lei che la tradì, perdonò l’amico di sempre che smise di sceglierlo, e perdonò persino il troppo amore di sua madre. Philippe non provava nemmeno l’impulso alla vendetta. Era l’altra guancia. Si offriva sempre, nonostante tutto, con sguardo amorevole. E’ certo che questo faceva allontanare tutti, persino sua madre aveva difficoltà ad accettarlo a stargli accanto. E’ certo che questo lo faceva soffrire molto, viveva la sua vita terrena come una tortura, si angosciava e passava molto del suo tempo nel cercare di capire perché, perché nessuno, nessuno al mondo, riusciva a comprenderlo, a accettarlo, e a perdonargli il suo perdonare tutto. Perché nessuno riusciva ad amarlo? Eppure non era una persona orribile, era esattamente il contrario, era amorevole, disposto a dare, pronto a sacrificarsi, allora perché nessuno riusciva ad apprezzarlo? Perché l’umanità preferiva Bernard a lui? Che si sentisse più complice con Bernard? Poi il terribile dubbio…

 

Dizionario taurocolico: ministro degli Esteri italiano

Ministro degli esteri italiano: Nei palazzi diplomatici internazionali si parla di questa figura come di un’entità  astratta, sanno che esiste, ma non riescono a vederlo e soprattutto a sentirlo. Si dice, ma sono solo voci, che molti si siano rivolti a Federica Sciarelli e al programma “Chi l’ha visto?”, durante la puntata a lui dedicata per fortuna è arrivata una telefonata da Santa Lucia dove giurano di averlo visto mentre prendeva certe pericolose carte, questo come si può immaginare ha tranquillizzato molto gli animi di tutti. Si occupa di case. Il suo ruolo nella politica internazionale è quello di emettere comunicati tipo: “La Farnesina comunica che non ci sono italiani feriti negli scontri al Cairo”.

 

Dizionario taurocolico: Tamarro

Tamarro: Individuo appartenente all’homo sapiens, su questo punto gli studiosi divergono,  solitamente maschio, riconoscibile dall’eccessivo uso di colori quali fucsia e rosa, dai pantaloni particolarmente stretti e maglie aderentissime, dalle scarpe grosse grosse e/o luccicanti luccicanti. Si segnalano inoltre come elementi utili ai fini del riconoscimento: macchine rumorose causa marmitta truccata e causa canzoni di Benny Benassi, lucine blu ricoprenti in ogni dove l’abitacolo, sopracciglia inesistenti,  e abbonamento in palestra condizione questa sine qua non. Questo individuo di cattivo gusto è caratterizzato da una scarsa attività cerebrale e per lo più esiste per infastidire con la sua rumorosità il prossimo. Si trova ovunque. E’ molto diffuso, biascica ed è fiero della sua tamarrosità. La sua strategia per conquistare persone dell’altro sesso prevede frasi come: “Oh, ma lo sai che te tu c’hai proprio un bel culo… Dove vai in palestra?” E altre di simil genere. State attenti il loro voto vale quanto il vostro.

Quando Alberto Angela distrusse Goethe

L’anno scorso, più o meno di questi tempi Alberto Angela, mio unico e vero amore, l’uomo perfetto,  l’uomo più sexy del pianeta, bada bene che non sono affatto ironica, faceva una trasmissione su Rai 3, non ricordo il nome deve essere stato tipo Ulisse-il piacere della scoperta.
Si trattava in realtà di un ciclo di puntate, una specie di docufiction in cui raccontava la vita dell’uomo primitivo, precisamente di Lucy, si chiamava così, mi ricordo il nome, in quanto mio padre gentilmente da quando l’ha vista la prima volta ha riscontrato delle somiglianze tra me e la donna di Neanderthal (o qualcosa del genere) e ha deciso di rivolgersi a me da lì all’eternità (suppongo, ma non ho motivo di dubitarne) chiamandomi Lucy.  Se trovo una foto della mia gemella la pubblico. Ora, Alberto dopo avere fatto vedere come vivevano gli uomini primitivi etc. etc. dice all’incirca ” Abbiamo visto come gli uomini primitivi cercavano di conquistare la propria femmina usando la forza, battendosi cioè con i propri rivali; con l’evoluzione  le cose sono cambiate e l’uomo non usa più la forza, per ottenere il suo scopo cioè l’accoppiamento conquista la propria donna usando altre strategie: mostrandosi interessato ai suoi sentimenti, ascoltandola, e standole affianco.”

Lucy non era proprio così, un po’ più deforme. Eccomi:

 

Dizionario taurocolico: parolaio

Inauguriamo oggi, in questa giornata di sole spaccapietre una nuova rubrica: dizionario taurocolico. Iniziamo da una parola a caso.

Parolaio:  E’ un animale particolarmente pericoloso, nel caso in cui dovessi incontrarlo ti merita evitarlo.  Per il parolaio la parola non è più mezzo, ma diventa fine. Il parolaio ci tiene particolarmente a dire cose che “suonino” bene, le parole servono per autocelebrarsi, autocompiacersi, per evidenziare il proprio narcisismo, non certo per esprimere qualcosa, né tantomeno per dire cose che corrispondano al vero. Il parolaio non pensa, parla e dopo si scusa. Sono ovunque. State attenti.