The end.

“Vai oltre al buio.”

 

Ci ho pensato bene? No. L’unica decisione ponderata che ho preso nella mia vita  è  anche stata la più sbagliata.  Quindi credo al raziocinio e alla riflessione, ma al 40%.  La ruota spezzata chiude. Mi piange il cuore e non solo. Non sono molto fiera delle cose che qui sono scritte, non le rileggo mai, eliminerei tutto. Sono fiera, però, di una sola cosa: l’umanità, la mia, poco filtrata che è stata qui esposta. L’averci messo la faccia, per dirla alla Renzi, è per me motivo di orgoglio, non è mai facile. Chiude perché non mi aiuta, perché bisogna volersi bene e avere  anche il buon gusto di tacere la propria intimità, chiude perché lo “zimbello” che c’è in me ha smesso di volere parlare e in fondo non ha niente da dire.  Lo spettro del silenzio che ho più volte evocato in questi ultimi giorni cade con il suo velo su questo luogo. Non so se continuerò a scrivere, né se lo farò ancora tramite blog vari, non credo.
Ringrazio davvero davvero chi ha voluto perdere un po’ del suo tempo in questa pagina e illuminarmi con le sue riflessioni. Davvero davvero. Grazie. Davvero davvero.

Idioteque

Luogo: Treno

Nome: Silvia
Anni:23
Professione: Studente ingegneria
Stato d’animo: Assonnata e irritata: una massa di spietati africani le vogliono rubare il lavoro

Nome: Lucrezia
Anni: 24
Stato d’animo: estremamente preoccupato : lo smalto giallo non rende come dovrebbe
Professione: Studente Lettere

_Siamo tutti uguali, lo so, figurati se non lo so, ma insomma loro sono un po’ meno uguali. E’ casa nostra.- dice Silvia
_Certo…- risponde Lucrezia mentre  osservara le sue mani
_No?- chiede conferma Silvia
_Certo. certo.-conferma Lucrezia mentre continua a osservarsi le mani
_No?- mi guarda.
_Certo.- rispondo.
_Non li possiamo prendere tutti noi.
_No, no.- dice Lucrezia.

Per assonanza mi viene in mente idioteque. Prendo il telelfono, cerco: idioteque, metto le cuffie,  mi viene una voglia matta di ballare. Ballo. Sorridono, continuo a ballare, si guardano intorno imbarazzate, si muovono confusamente irritate nei loro seggiolini, continuo a ballare, muovo la testa, muovo il corpo, muovo i piedi. Freneticamente.  Canto. Who’s in bunker, who’s in bunker. I’ve seen too much. I haven’t seen enough You haven’t seen enough. I’ll laugh until my head comes off. Si guardano l’un l’altra:

_MA si droga?- leggo nelle loro labbra.

Sorrido. Ballo. Canto. Ballo. Canto. We’re not scaremongering.This is really happening, happening. We’re not scaremongering.This is really happening, happening.

Ashes and snow

Segnalo un’opera d’arte, qualcosa che va molto vicino a ciò che penso bello, ma che mai mi riuscì di spiegare. Dove le parole non riescono arrivano le immagini.

http://www.ashesandsnow.org/en/flash-popup.php

Gregory Colbert ha fatto un film: Ashes and snow. Sessanta minuti di pura magia. Se siete in vena di Bellezza, solo se siete in vena di Bellezza, cercatelo e guardatelo.

Ecco un’anticipazione.

Bradipsichia

Di fronte ad avvenimenti che si susseguono l’uno all’altro, di situazioni che evolvono a grandi velocità, delle carte in tavola che cambiano continuamente, ho come la sensazione di entrare dentro a un vortice fatto di parole di cui in realtà non capisco effettivamente il significato: no-fly zone, ribelli, massacro, civili, toghe rosse, mozioni, risoluzioni, morti, Nato, reattori, tsunami, AD, DG, centrale, terremoti, eroi, raid, mafia, indagati, caccia, giudici, legittimi impedimenti, referendum etc. etc. Tutto questo gira nella mia testa facendola a sua volta girare e ho la stessa terribile sensazione che ho quando dall’alto del mio quinto piano, che forse è sesto non ho mai voluto contare, guardo verso il basso: vertigine, non riuscire a respirare, affanno e la consapevolezza di un’unica soluzione possibile: non guardare. Non riesco a metabolizzare.

La luce è fuori.

Il pavimento è freddo. Mi riempe di brividi. Mi smuove. La luce è fuori. Tutto è buio. Il nero mi consola. I pacchetti finiti annebbiano la mia vista. Ma non piango. Ci vuole costanza per potere piangere. Ci vuole forza. Verità. Non c’è niente di vero nel freddo di questo pavimento. Noia e dolori finti investono la mia anima. Mediocre anch’essa come tutto il resto. Il suono del telefono mi risveglia dal torpore. E’ mia madre. Ti ho chiamata per dirti che ti voglio bene. Tanto. Il suo amore manifesto mi uccide. Mi uccide come uccidono i sensi di colpa. Le cose non meritate.

Cose che imparo: supertele

C’è uno spettacolo molto bello sotto la mia finestra. Dovrei studiare, tanto, ma c’è in atto una gara importantissima Real Madrid versus Barcellona non me la posso perdere. Il pubblico è quello delle grandi occasioni: le mamme e le nonne scrutano attente gli avvenimenti in campo. Quattro baldi giovani Iker Casillas, Cristiano Ronaldo, Leonel Messi e Zlatan Ibrahimovic, tornato al Barcellona esclusivamente per questa gara, si affrontano in un duello all’ultimo sangue. C’è un vento terribile. Uno di quei venti che fanno pensare a mia madre l’arrivo incombente di trombe d’aria, tornado e tsunami, di quelli che, per capirci, ti aiutano a superare il record dei cento metri piani se lo prendi per il verso giusto, un vento che fa sognare di essere Bolt e magari lo si diventa davvero, in discesa almeno.

Uno, due, tre.

Messi lancia il pallone in aria: la partita inizia.

Fermi tutti! Cambiamo pallone.

La scelta è molto discutibile soprattutto dal punto di vista estetico: un supertele rosa, ma rosa rosa.

Così ci divertiamo di più… quell’altro è pesante… hai visto come vola questo? non sai mai dove va… è più divertente dai…

Giocare con un supertele con un vento simile è come non giocare e più simile al rincorrere le farfalle. E’ una specie di miracolo, giuro, il supertele che volteggia in aria, loro con le mani tese verso il cielo che lo inseguono, e tutto il resto che si dissolve. Non so magia, leggerezza, sapere giocare, saper vivere. Non so. Penso solo che forse oltre alle scarpe giuste bisogna sapersi scegliere anche il pallone giusto, che bisogna capire che il vento non sempre è un ostacolo e che può diventare una risorsa, che bisogna accettare il suo gioco ovunque porti, e inseguirlo con lo sguardo verso il cielo e le mani tese. Con leggerezza, molta leggerezza: la leggerezza del supertele.

Finestra

Muovo le dita, solo l’indice e il medio, tamburello un po’, senti come cambia il suono. Ogni cosa ha un suo suono, bisogna solo farglielo emettere. Preferisco il suono della plastica, è più leggero, quello del legno è grave ma più intenso, se ci penso è così che conosco il mondo tramite il suono che le mie dita producono su di lui. Sono un artista e suono il mondo. E’ rasserenante sapere che tutti i legni e le plastiche del mondo faranno più o meno lo stesso rumore.

 

E’ buio, la mia finestra è chiusa forse l’aria non è delle più fresche qui da me, dentro camera mia, tra un po’ arriverà mia madre, inizierà a parlarmi, mi coccolerà, adoro essere coccolato, farò finta di essere scocciato, chissà poi perché mi viene naturale fare finta di essere scocciato, mi dirà di aprire la finestra. Non c’è niente da vedere, ma lei non lo vuol capire. E inizierà a parlarmi delle bellezze del mondo. E’ così dolce mia madre.

_Luca…

_Mamma…

_Perché non apri un po’ la finestra? C’è un’aria insopportabile e poi tutto questo buio…

_Perché non c’è niente da vedere mamma. Sempre lo stesso cielo, lo stesso finto giardino sotto casa (come vi sarà venuto in mente di prendere casa qui poi…) la stessa gente, che dice le solite cose, le stesse idiozie, lo stesso finto divertimento, preferisco immaginare.

_Non mi sembra che questo tuo immaginare ti renda felice.

_Felice, felice… cosa vuol dire mamma questa parola? Tu che apri le finestre e guardi il mondo ti senti felice?

_No.

_Vedi…

_No Luca, che sia chiaro, io non sono felice perché tu non me lo fai essere. Tu hai scelto di distruggermi la vita.

_Sei aggressiva mamma.

_Non ce la faccio più. Tutti i giorni vengo qui a cercare di convincerti che c’è un mondo oltre a te, che ci sono delle cose da vedere, che le persone non sono tutte come le dipingi tu, che vivere non è poi così brutto, inutile e insensato. Tutti i giorni torno a casa dal lavoro con l’ansia: ti troverò? Non ti puoi chiudere solo nel tuo mondo, Santo Cielo, non ti annoi?

_Hai paura che mi suicidi mamma?

_Non dire quella parola?

_Hai paura sì o no?

_Sì Luca, sì. Maledettamente.

_Puoi stare serena mamma, si suicidano, ops fanno quella cosa lì, solo le persone che amano la vita, che dalla vita sono rimasti delusi, io non appartengo a questa categoria. Per poter togliersi la vita, bisogna vivere, se si è già morti non ci si può togliere la vita, no?

_E perché sei già morto tu? Come si fa a essere già morti a quindici anni?

_Chiedilo al tuo amato Dio, con me e con te è stato crudele.

_Lascia fare Dio, non è colpa di Dio, sei tu che vuoi avere questo ruolo. Pensi che ti si noti di più? E’ così che pensi di potere avere attenzioni?

_E che me ne faccio delle attenzioni?

_Dimmelo tu. Non ti annoi?

_Non mi interessano le attenzioni di nessuno mamma.

_E allora spiegami il tuo atteggiamento perché io davvero non lo capisco. Stare qui tutto il giorno a tamburellare sul tavolo… Non uscire mai, non vedere niente, non avere amici, non avere passioni, non fare niente, non parlare con nessuno, non sorridere, non mangiare, non muoversi da quella sedia. Spiegami, ti prego, che senso ha tutto questo.

_Nessuno. Ma che senso ha uscire, vedere gente, avere amici, avere passioni, fare qualcosa, sorridere, parlare, divertirsi, mangiare, sorridere, muoversi da questa sedia? Che senso ha andare a lavorare tutto il giorno? Che senso ha chiamare le amiche e dire loro “ah come mi preoccupa Luca”? Che senso ha andare a prendere la pizza il giovedì sera con della gente che detesti? Che senso ha fare finta che vada tutto bene e che l’unico problema sia Luca? Che senso ha stare accanto a un uomo che non ami? Spiegami, ti prego, qual è il senso della tua vita.

_Tu vuoi vedere le cose in questo modo, vediamole nel tuo modo.

_Te l’ha detto lo psicologo questo?

_Non fare l’indisponente. Non ha nessun senso nemmeno la mia così orribile vita, ma almeno io tento di rendermela gradevole. Non mi faccio schiacciare dalle mie paure, non sono fifona come te che sei spaventato da tutto. Perché è questo Luca, tu hai paura, hai solo paura. Hai paura di affrontare il mondo. Hai paura che il rumore del mondo sia diverso da quello che pensi tu. Hai paura di affrontarlo. Hai paura della gente, che ti scombussolino quel mondo di finte certezze che ti costruisci. La mia vita non ha senso certo, ma è meno comoda della tua. Mi annoio meno di te. Conosco la vita, non le cose che ho letto sui libri. Io vivo, senza vederci un senso, ma perché ci deve essere. Cerco di dare un senso, Luca, a questa mia esistenza.  Cerco di partecipare al senso. Non ci riesco? Pazienza. Ma io amo, incontro gente, ascolto il loro dolore, parlo del mio, mi confronto, scambio, faccio qualcosa. Non sto seduta ad autocommiserarmi.

_Mi piacciono le cose comode mamma.

_Codardo.

_Sì.

_Stronzo, sei uno stronzo. Ti prenderei a schiaffi.

_Scusami.

_No.

Apre la finestra e se ne va. L’aria fredda entra nella mia camera. E’ il suo dolce modo di farmi sentire il suo dolore e la sua freddezza. Amo il momento in cui apre la finestra stizzita, amo quel suo movimento, amo il suo coraggio e la fierezza con cui lo fa, è un gesto così coraggioso, essere invasi da tutte quelle particelle, da tutta quella luce, da tutto quel rumore e non avere paura. Io chiudo sempre gli occhi, ho paura, ha ragione lei, ho paura. Come fa a sopportare tutto? Perché io non ci riesco?

Elenchi

Sto pensando:

  • Alle mie scarpe bianche.
  • Al perché sono sporche.
  • Al chewingum.
  • Al mal di testa che mi fa venire.
  • Alle creme antirughe.
  • Al fondotinta.
  • Al perché non lo uso.
  • Alle chiavi.
  • Al perché non riesco mai a scegliere la chiave giusta.
  • Al tutto.
  • Al tutto che non ha alcun senso.
  • Alla morte.
  • Al perché non mi riescono le cose semplici.
  • Alla cellulite.
  • Alla democrazia.
  • Alla mia insignificanza.
  • Al perché non mi riescono le cose difficili.
  • Al vuoto.
  • Al Kernel.
  • Allo tsunami che vuoto non è ma vuoto crea.
  • Ai bombardamenti.
  • Agli aerei.
  • Allo gnu.
  • Alla trapunta blu.
  • Al mio pacchetto di winston blu.
  • Al mio accendino verde.
  • Al verde.
  • Ai reattori.
  • Ai semafori.
  • Al perché devo rispettarli se loro non rispettano la mia fretta.
  • Al perché ho fretta.
  • Ai cieli di Turner.
  • A Guernica.
  • Ai pozzi petroliferi.
  • A Pazzini.
  • Al due.
  • Al meno.
  • Al perché leggo.
  • Al perché scrivo.
  • Al perché parlo.
  • Al mio quaderno rosso.
  • Al perché voglio fare l’ingegnere.
  • Al perché non voglio fare l’ingegnere.
  • All’amore.
  • Al fallimento.
  • Al perché Mergherita Hack quando dice cose che fanno comodo è un genio e quando dice cose che non fanno comodo è un’arteriosclerotica.
  • A Veronesi. (vedi sopra)
  • Al perché non me ne frega niente.
  • Al motoGP.
  • Al perché lo odio.
  • Al perché non ho fame.
  • Al perché voglio chiudere gli occhi.
  • Al perché non li chiudo.
  • Al perché voglio solo chiudere gli occhi.
  • Al cielo limpido che c’è stasera.
  • Alle stelle.
  • Alle costellazioni.
  • Alla luna gigante.
  • Al perché qualcosa dovrebbe avere senso.
  • Agli arroganti.
  • Al perché mi affascinano.
  • Al fare.
  • Al non fare.
  • Al perché fare.
  • Alla corsa.
  • Al mio ginocchio.
  • Ai chirurghi.
  • Al mio chirurgo.
  • All’Amore.
  • Ai bugiardi.
  • Al perché mi affascinano.
  • Ai bambini.
  • Al perché nascono.
  • Alla luce.
  • Agli occhiali.
  • Al perché li ho rotti.
  • Alle candele.
  • Alle mie candele che sanno di cioccolato.
  • Al nirvana.
  • Alle strategie.
  • Ai non spontanei.
  • Ai giocatori di scacchi.
  • Alle mosse.
  • Alla loro inutilità.
  • Agli avidi.
  • Ai viaggi.
  • Agli avari.
  • Al perché li incontro.
  • Alle sanguisughe.
  • Al carattere del mio Browser.
  • Al perché non ho sonno.
  • Al carattere del tuo Browser.
  • Alla voglia.
  • Agli idioti.
  • A me.
  • Alle priorità.
  • Alla libertà
  • Al latte macchiato freddo.
  • Al perché non ho voglia.
  • Al tutto che conserva se stesso.
  • Al tutto che annulla.
  • Agli attimi che annullano.
  • Agli abbracci.
  • Alle parole.
  • Alle parole dette a caso.
  • Alle parole non dette.
  • Al mio ascolto selezionato.
  • Al mio non ascoltare.
  • Agli abbracci non dati.
  • Alle uscite.
  • Alle non uscite.
  • Agli amanti.
  • Alla meccanica.
  • Ai planetari.
  • Alla A.
  • Al nome di mio padre.
  • A quanto sono belli i nomi che iniziano per A.
  • Al mare.
  • Agli scogli.
  • Al mio scoglio.
  • Alla mia paura.
  • Ad Amanda Knox.
  • Ad Albano.
  • Al “ci ameremo come i cani”.
  • Alla gente che mi piace.
  • Alle imperfezioni.
  • Al dolore.
  • Al Qohelet.
  • Alla speranza.
  • Al dormire.
  • Al bere.
  • All’ulcera.
  • Agli elenchi puntati e numerati.
  • Alla noia.
  • Al perché tutto sacrifica.
  • Agli arrivi.
  • Alle partenze.
  • Ai ritardi.
  • Alle cose perse.
  • Ai treni persi.
  • Alla canzone che ascolto da una settimana ininterrottamente.
  • Al perché la ascolto.
  • Alla pace dei sensi.
  • Alla pace dei versi.
  • Ai sogni.
  • Alla loro crudeltà.
  • Ai limiti.
  • Al non sapere scrivere.
  • Al non potere volare.
  • Al fallimento.

Spazi

Il rumore dei tacchi mi risveglia dai miei pensieri. Qualcuno mi investe con il suo corpo. Non mi chiede scusa. Alzo lo sguardo e lo guardo negli occhi. E’ triste. Sono triste anche io. Sono triste di una tristezza convenzionale, quella che si incontra in quasi tutti gli sguardi. Mi ferisce essere così uguale anche nella mia tristezza al resto. Avrei potuto scegliere di distinguermi almeno in questo.

Piove.

Non ho aperto l’ombrello mi serve per disegnare il tuo anonimo nome sul manto stradale. Potrei stare ore e ore sotto la pioggia e non bagnarmi affatto. Come una lapide di granito. Non penso che la morte possa essere qualcosa di diverso. Penso di essere morto o di stare morendo. Che differenza fa?

Disegno il tuo nome. Disegno solo il tuo nome con la punta del mio ombrello. Quanto è bello il tuo nome! E’ bello scriverti, ma la pioggia cancella tutto, la luna sorride del mio cercare di scriverti sulla strada, accanto ai miei piedi, renderti eterna, imprimerti sulla terra. Ride la luna. Che ne sa la luna?

Aspettarti è faticoso. In mezzo alla piazza sotto la pioggia. A Santa Croce, che fatica! Dondolo. So che arriverai in ritardo, tu arrivi sempre in ritardo, arrivi di corsa con le mani unite preghi il mio scontato perdono, arrivi con il tuo sorriso perfetto, mi prendi la mano e mi dai un bacio. Io sento il tuo arrivo dal rumore dei tuoi tacchi dal tuo passo leggero e alzo lo sguardo per prendermi tutto il tuo rituale. Non lo sai, ma con te sono sempre in anticipo, mi piace aspettarti qui in piazza Santa Croce.

Mi sembra che il tuo sorriso sia l’unica cosa al mondo che abbia un senso, so che non ha senso nemmeno il tuo sorriso e che la mia attesa è inutile e vana, e che sono qui ad aspettarti perché riempi i miei tempi vuoti. Solo perché riempi miei tempi vuoti. Ride di nuovo la luna. Che ne sa la luna di cosa vuol dire avere i tempi vuoti?

Non ti amo, come tutti gli altri non ti amo nemmeno io, avrei potuto distinguermi in questo, ma non ci sono riuscito e a pensarci bene non ho nemmeno voluto. Perché amarti? Perché amare?

Non ha senso niente, nemmeno la luna che ride della mia fatica, non hai senso nemmeno tu, e non hanno senso i nostri incontri e i nostri viaggi circolari. Pensavo che tu potessi dare un senso ai miei sterili viaggi circolari, che potessimo essere compagni di viaggio per sostenerci un po’. Ma il tuo corpo riempe solo i miei tempi vuoti. Cos’è poi l’amore? Perché dovrei amarti?

Ti sto aspettando perché aspettarti riempe il mio tempo vuoto. Sento la tua assenza perché riempe il mio tempo vuoto.

Arrivi, ma non è il tuo corpo. Sorridi, ma non sono i tuoi denti. Mi prendi la mano, ma non è la tua mano. Mi baci, ma non sono le tue labbra. Che differenza fa? Un altro corpo riempirà i miei tempi vuoti. Chi sei tu del resto?

Senno di Orlando

Povero il mio amore!
Fatto di canovacci,
Sogni dimenticati,
E promesse evase.

Mutila la mia anima
E scava
Con nevrotici gesti
Un prosciugato fiume di ricordi.

Povero il mio amore!
Capolavoro
Deriso, illuso e estinto.
Cacciato dal paradiso,
Reo di immensità.

Nudo e spietato
Esuma fangose pagine,
E ad ogni tua parola,
In ogni tuo tenero sorriso,
Dimentica e ricomincia
Furioso.

Povero il mio amore!
Sfiancante nei suoi
Corrosivi Silenzi,
Narcotizzante,
Non smette ancora
Di sperare.

Ebbrezza

Antefatto:

_ Mi gira la testa, sai?
_ Perché? Non hai bevuto quasi niente.
_ No, infatti non è il vino è tutta quella gente… tutto quel movimento… mi fa girare la testa.
_ Ci fermiamo?
_ Sì dai, ti prego.

Fatto:

_ Oggi avevo una grande voglia di Dio. Ti capita mai di avere voglia di Dio?
_ No, io non credo che Dio esista.
_ E questo cosa c’entra?
_ Come fai ad avere voglia di una cosa che pensi non esista?
_ Non lo so, mica hai voglia di un qualcosa di ben definito, però è come se avessi bisogno di una  carezza, dell’Amore che ti abbraccia.
_ Allora hai bisogno di affetto non di Dio.
_ No, non quel tipo di carezza. Non so una cosa che ricordi… come te lo spiego?  Hai presente la cappella Sistina, hai presente Dio ed Adamo, hai presente le loro mani? Ecco qualcosa del genere: un leggero tocco creatore ecco cosa mi serve.
_ Non capisco.
_ Lo so. Oggi ho aperto la bibbia, era lì sul comodino e io l’ho presa in mano. Ho aperto a caso e ho letto una cosa che ho scritto qui da qualche parte, aspetta…
_ Stai un po’ meglio ora?
_ Non sto male, mi gira solo la testa.  Eccolo. Senti.  “Noè cominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna; ne bevve il vino, s’inebriò e dormiva ignudo in mezzo alla sua tenda. – aspetta non leggo puntami un po’ di luce –  Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e corse fuori a dirlo ai suoi fratelli. Ma Sem e Jafet presero un mantello, se lo misero sulle spalle, e camminando all’indietro, coprirono le nudità del loro padre; e siccome avevano la faccia volta indietro non videro le sue nudità”.
_ Ok. Quindi?
_ Ti sei mai ubriacato?
_ Sì certo. Tu?
_ Sempre.
_ Davvero?
_ Non come intendi tu, oddio anche come intendi tu, però una cosa un po’ diversa. Cosa ti succede quando sei ubriaco?
_ Beh vomito, mi gira la testa, i miei piedi vacillano, ondeggio tutto, sono allegro e il giorno dopo un gran mal di testa. Come è che sei sempre ubriaca tu invece?

_ Ho sempre la vista offuscata nonostante la mia miopia sia leggerissima. Questo mi consente di vedere tutto più sfumato e sfuocato come se fossi una neonata;  io penso di rinascere un po’ sempre, avrò sempre la vista da neonato se continuo a rinascere. Che bello sarebbe.  I miei piedi vacillano sempre infatti ho bisogno di scarpe pesanti che mi inchiodino a terra per non parlare poi delle mie emicranie e cefalee, della mia nausea continua, e dei giramenti della mia testa.
_ …
_  Hai presente quando vedi tante cose e tutte si muovono a grandi velocità? Sono tutte belle e tu vorresti afferrarle per dire loro “Restate un po’ con me, dai sollevatemi un po’!”, ma non riesci a cogliere niente, se ne vanno a grande velocità, ti lasciano solo la sensazione terribile di non poterle agguantare, e mentre sei lì che le guardi andare via nuove cose si presentano davanti a te e allora ti manca il respiro, tremi, hai paura, hai sete, è troppo. Hai presente? E’ troppo davvero. Ti stordisce e inebria, sono le tue vigne nelle quali ti ubriachi. Sei ebbro totalmente. E’ il mondo che ti ubriaca. E’ tutto. E’ la poesia che intravedi ma che non riesci ad afferrare. Ti devi svestire, ti devi spogliare, non hai più bisogno di vestiti, devi essere nudo, nudo come Noè; non so perché devi essere nudo, è crudele che uno debba mostrarsi nudo, ma è così.
Accanto alle tue vigne sei ebbro e nudo, e ti sdrai per terra e diventi parte del tutto e ti gira la testa, ma in realtà sei solo tu che giri come gira la terra, sei la terra, sei terra, senti la sua freddezza, percepisci il suo calore.

_ …

_ Lo so, hai ragione. Non si è mai pronti all’ebbrezza degli altri. Non si è mai pronti alla nudità, imbarazza sempre. Cosa fanno i figli di Noè? Camminano all’indietro. E’ bellissimo. Capisci? Camminano all’indietro per non vedere il padre nudo. Lo devono coprire, forse non la capiscono la sua ebbrezza e nemmeno la sua nudità. Come si fa a capire la nudità, al massimo la si può contemplare.

_ Mah… è il loro padre è normale che non vogliano vederlo nudo e lo coprono perché gli farà freddo.
_ Può darsi. Ma tu vorresti vedermi nuda?
_ Volentieri…
_ Intendo nuda davvero?
_ …
_ No,  avresti bisogno di coprirmi con il tuo corpo, con le tue chiacchiere, con le tue risposte, mi offriresti un sacco di coperte. E’ così che ci si relaziona a un corpo nudo, ad un’anima che si spoglia: si girano le spalle, si cammina all’indietro e si offrono coperte.
_…

_ E’ così. Non si è mai pronti alle nudità, mai pronti all’ebbrezza.
Mi sento esplodere, giuro. E’ come se il mio cuore inalasse inalasse inalasse, l’esplosione è inevitabile, è dolce. Vorresti vedermi a brandelli? No. E’ uno spettacolo così triste, poi c’è il rischio che qualcosa finisca sul tuo viso e ti sporchi, mi odieresti, dovresti pulirti. E’ per questo che mi coprirai sempre con le tue carezze, con i tuoi baci, con il tuo corpo. Non si è mai abbastanza pronti per vedere i brandelli degli altri sul proprio viso. Come si fa ad esserlo?

_ Ti porta a casa.

Postfatto:

Perché ti devi coprire? Perché non ti ubriachi? Perché non ti liberi delle tue bugie? Perché non mi liberi dalle mie bugie? Perché non mi aiuti? Perché non ci aiutiamo? Liberami, ti prego, dalle bugie che mi devo costruire per sopravvivere. Accogli la mia ebbrezza, la purezza della mia nudità, non girarmi le spalle, guardami, metti via le tue coperte non ne abbiamo bisogno. Guardiamoci Santo Cielo, guardiamoci. Siamo bellissimi. Guardiamoci!

Mi fanno male le mani.

Fisso la luce, la lampadina di camera mia, la mia luce, la fisso per molto tempo poi chiudo gli occhi e si mostrano a me nel buio splendidi disegni e volti quasi divini. C’è una dinamica precisa: chiudo gli occhi e parto in un non-fatto viaggio. All’inizio vedo un punto nero piccolissimo al centro circondato da una luce potentissima, poi il nero si espande, e cresce, e cresce ancora fino a quando diventa tutto buio e sembra che non ci sia più niente, poi all’improvviso nascono nuovi disegni, forme astratte, colorate e veloci che si fanno e disfanno velocemente. Nasce un universo strano e io astronauta viaggio, è come un viaggio verso la particella elementare, la particella di Dio, verso Dio. Inizia a girarmi la testa, mi gira ancora, in realtà è il mio universo che gira ma io sono con lui. A volte sembra una veloce caduta verso l’abisso altre una veloce ascesa sempre verso l’abisso.  E’ così che penso di solito. E’ così che cerco il divino,  me e Dio, non trovo nessuno dei tre, è ovvio, solo abissi di luce splendente che mi riempiono e svuotano contemporaneamente. Mi emoziono, tremo un po’, il mio stomaco si stringe e le sue pareti fanno dei movimenti strani, le sento.

Apri tonda. Mi emoziona tutto. E’ una sensazione terribile. Non è facile vivere così, non è facile avere mal di stomaco per ogni visione, per un bambino in braccio alla madre, per un signore che cammina solo, una nuvola solitaria in cielo, due persone abbracciate, una signora seduta in mezzo al marciapiede, due persone che litigano, il sorriso di chi mi saluta, la fame di un turista.  Non è facile avere sempre i brividi, sempre le farfalle nello stomaco e costantemente voglia di vomitare. Ti fanno le gastroscopie per questo, ti viene l’ulcera, prendi un sacco di medicine, ma soprattutto non riesci più a distinguere: se tutto ti emoziona chi ti emoziona? Le persone pretendono l’esclusiva. L’emozione esclusiva. La più forte. Quella vera, l’unica. Chiudi.

Mentre faccio i giri nel mio personale universo, rigenerata dalla mia lampadina e dalla mia cornea la mia mente torna al mio effettivo viaggio di oggi, alla pioggia incessante, agli incidenti che ho visto per strada, le macchine ribaltate, al mio stomaco dolorante, al mio orribile pensare- e-guidare e non guidare- e -pensare al mio pensiero confuso che si riflette sulla mia guida agitata,  le sue tragiche conseguenze; penso al volto dei venti giorni del mio nuovo nipote Martin dove c’è disegnata tutta l’Umanità, al mio sterile volto dove ci sono solo le persone che ho incrociato, penso al mio analfabetismo sentimentale, al mio fare sempre confusione, innamorarmi di tutto e non amare mai niente, essere innamorata di me stessa e non amarmi affatto. Penso a una canzone odiosa, brutta, vecchia e insipida che hanno dato oggi alla radio. All’improvviso mi fanno male le mani.  Come se mi stessero inchiodando. Il palmo  sembra squarciarsi. Penso alla persona che mi ricorda quell’orribile accozzaglia di suoni, al suo profumo impresso nella mia sciarpa grigia, penso alla sua pelle, al suo tocco, al suo volto i cui contorni non ricordo bene, penso alla sensazione di vuoto che mi pervade nel non averlo al mio fianco e ogni pensiero è come se fosse una forte martellata sul chiodo che mi inchioda alla mia profana croce. Alla mia passione.

E’ questo dolore fortissimo nelle mie mani la mia passione. E’ questa la differenza. Eccola l’esclusiva.

Mi fanno male le mani, mi fanno male le mani, mi fanno male le mani.

Mi ha attraversato tutto questo vento e non ho mai costruito un aquilone.

(Sottotitolo: Shame on me.)

-Amore smettila di correre come una pazza. Lo vedi? Ti fai male… Siediti qui accanto a me, fammi vedere le mani.
-Nonna corri con me? Andiamo a spaventare i piccioni?
-No amore, la nonna non ce la fa.
-Perché?
-Sono vecchia.
-I vecchi non corrono nonna?
-No amore.
-Perché?
-Hanno corso tanto quando erano piccini come te e si sono stancati.
-Allora io non devo correre sennò mi stanco, vero nonna?
-Brava amore.

-Quanto tempo è passato nonna?
-Due minuti.
-E basta?
-Sì.
-Mi annoio.

-Nonna…
-Sì…
-Quanto tempo è passato?
-Un minuto amore.
-Tra quanto arriva il nonno?
-Tra diciannove minuti.

Giulia, non correre. Amore ti fai male.

-Tu non sei vecchia?
-No.
-Non sei stanca?
-Non molto.
-Io ho cinque anni e mezzo.

Scusi signorina eh…

-Cavolo, sei grande.
-L’anno prossimo vado in prima elementare.  Tu quanti anni hai?
-Ventitre.
-Uhm… Quanti sono?
– Contiamoli, mi servono le tue mani e i tuoi piedi anche.
-Ma sono tanti. Non sei vecchia?
-Non molto.
-Vuoi giocare con me?
-Okay. Che gioco facciamo?
-Ecco praticamente noi corriamo, no? Praticamente… hai visto, ci sono i piccioni, no? Sono tornati.
-Sì, sono tornati i piccioni.
-Ecco noi corriamo dai piccioni e gli spaventiamo, va bene?
-E’ divertente?
-Sì.
-Non ti dispiace un po’ per i piccioni?
-No, mi ha detto il nonno che i piccioni servono per me.
-Per te?
-Sì. I piccioni servono perché io li spavento.
-Ah! Te l’ha detto il nonno?
-Sì. Tutto serve per me.
-Capisco…

Giulia non dare fastidio alla signorina.

-Anche il vento. Lo sai a cosa serve il vento?
-No, dimmi.
– Ecco, il vento m’ha detto il nonno porta le nuvole che portano la pioggia che porta l’acqua che fa crescere le piante che diventano grandi grandi, no?
-Sì.
-Diventano così grandi che poi portano i… come si chiamano?
-I frutti.
-Ecco, e poi io mangio la frutta. Tutto è per me.
-Anche per me?
-Non lo so, tu mangi la frutta?
-Sì.  Allora tutto è anche per te.
-Ma se tutto è per te come fa a essere anche per me?
-Fammi pensare.
-Pensa.
-Ma dopo giochiamo.
-Sì.
-Fammi pensare.
-Fai con calma.
-Allora tutto è per me, no?
-Sì.

Giulia…

-Però io non mangio tanto… non mi piace tanto la frutta, no?
-Sì.
-Fammi pensare.
-Okay.
-Io non posso mangiare tutta la frutta del mondo, divento come la nonna… secondo te la nonna mangia tutta la frutta del mondo?
-Non credo.
-Allora perché è così cicciona?

Giulia, ti sento!

-Ups!  Allora comunque tutto è grande grande, no?
-Sì.
-Allora tutto è per me, per il nonno, la nonna, la mamma, il babbo, per Daniele, per te anche. Per tutti. C’è vento per tutti ,no?
-Ti piace il vento?
-Sì…
-Perché?
-Mi sposta sempre i capelli. A te?
-Piace anche a me. Chi è Daniele?
-E’ il mio fidanzatino.

-Anche a Daniele piace il vento.
-Sì?
-Sì, dice che serve per gli aquiloni. Me ne ha portato uno rosa, io lo volevo viola. Hai mai fatto un aquilone?
-No.

-E a cosa serve il tuo vento?

Ferma tutto. Un passo indietro

L’inverno mi fa un brutto effetto. Nella vita passata devo essere stata un orso polare, o qualcosa del genere, nella prossima sarò un koala o un bradipo lo sento. Voglio andare a vivere in un posto marino e che non conosca il freddo. Chissà come ci finirà il mio spirito in Australia?

Il ritorno del sole, il ritorno a temperature normali mi fa un bell’effetto non ultimo la ritrovata voglia di  stare seduta su una panchina, guardare i coriandoli per terra, farmi colpire da tutti quei colori,  dal colore dei bambini che li hanno avuti in mano, riesco addirittura a pensare ai loro sorrisi. Il senso del carnevale che disperatamente cercavo e non riuscivo a trovare ieri è lì in quei coriandoli che non sono ancora riusciti a spazzare, nei muri pieni di schiuma e di non molto originali disegni fallici. L’avrei potuto vedere ieri, avrei potuto vedere i bambini sopra i carri che cantano sempre le stesse canzoni, avrei visto le ragazzine che scappano e urlano e i ragazzini che le inseguono con bombette spray, avrei potuto vedere questo rituale di chissà quanti anni, ma avevo troppo freddo. Poco male, ho i miei tempi, sono lenta, per fortuna sono terribilmente lenta.

Tempo fa pensavo che il mondo fosse pieno di bellezza, mi ero anche cimentata su un assurdo calcolo della densità della bellezza, rho di b maiuscolo, quantità (non massa, rifiuto l’idea che la bellezza possa essere “pesante”) su volume, evito il racconto del procedimento di per sé ha poco di scientifico a parte lo spunto iniziale, era bellissimo accorgersi che le densità erano elevatissime. Come stavo bene in quel periodo, un po’ meno cosciente forse, più ingenua, più di così, più di ora (tu pensa!) ma molto più bella, era come se tutta la bellezza che vedevo fuori entrasse in me, o forse il processo era inverso. Dovrei interrogarmi su questo forse. Sarebbe bello che io lo scoprissi. A tutti i calcoli che facevo aggiungevo sempre la voce: bellezza immensa di Fatjona che cerca la Bellezza in ogni centimetro di terra. Valeva un sacco di punti. Ero una figa. Sapevo vedere e dove cercare, non trovavo mai quello di cui avevo bisogno, vagavo. Che sciocca!

Ora sono ferma.

“Sei triste”- dice mia nonna. “Sei triste”-dice mia mamma. “Sei triste”- dice mia sorella. Ho gli occhi un po’ offuscati. Peccato, mi piacciono di più i miei occhi lucenti e ridenti, mi piace il loro naturale sorriso e la luce che emanano. Tornerà tutto. Sta tornando la primavera. Tornerà il sole. Bisogna sapere vedere, avere la forza di aprire gli occhi e il coraggio di non farsi accecare, il sole può fare male ma io ho dei nuovi occhiali da sole. Chissà che non ci riesca davvero questa volta!

“La vita è un po’ come morire a rate”- dice un uomo saggio- è da quando me l’ha detto che nella mia testa torna vibrante con un periodo costante questa frase. Bene, oggi mi domandavo se la vita non fosse un vivere a rate, la vita che ti  apre le porte al suo mistero piano-piano… e se fosse davvero così che importanza avrebbe poi la morte, e il morire e le rate?

Chissà perché il mio cervello da solo alla parola attiva esistere ha sostituito il passivo resistere?
Chissà perché cercando la pur giusta concretezza ho perso completamente e cinicamente di vista tutto il resto?
Chissà perché a un certo punto ho pensato di potermi accontentare, che in fondo non meritassi il meglio, il mio meglio, che poteva andare bene così?
Chissà perché ho una memoria così corta?
E come mai ho ricevuto in dono un’immensa capacità di tagliare, distruggere e ricominciare?

 

Ricordo.
Mi perdono.
E ricomincio.

Inizia la mia laica quaresima.