Fintanto, ovvero il delicato bisogno di comprensione

-Alzati sono le sette e dieci. Perdi il treno.

Fintanto si alzò, a fatica, ma si alzò. Fece colazione, si lavò, prestò particolare attenzione ai denti, come tutte le mattine. Ci teneva molto al suo sorriso da pubblicità.

-L’hai pagata la retta universitaria?
-Sì.

-Okay, ciao amore passa una buona giornata. L’hai preso il portafogli?
-Sì, mamma.

Scese le scale velocemente, era in leggero ritardo. Rischiò di inciampare, ma si sollevò subito del resto la natura l’aveva dotato di un fisico imponente mica a caso. Il treno aveva gli usuali cinque minuti di ritardo e Fintanto riuscì anche questa volta a prenderlo senza doverlo rincorrere. Ad aspettare il treno delle sette e mezzo c’erano tantissimi ragazzi suoi coetanei, molti suoi amici, appena lo vedono arrivare è pratica comune quella di girarsi, e focalizzare la propria attenzione su Fintanto. E’ un personaggio particolare dotato di un’innata simpatia, e tutte le mattine ha sempre qualcosa da dire per mettere di buon umore quell’allegra ma assonnata brigata di giovani universitari. Anche questa volta non deluse i suoi fan. Scoppiò una risata generale e a tutti parve che la giornata potesse effettivamente cominciare nel verso giusto, anche quel giorno, grazie a Fintanto. Era perfettamente conscio della responsabilità che aveva, e questo suo onere lo spossava tantissimo. Il treno arrivò, Fintanto trovò un posto dove sedersi in quel treno così affollato, accanto a lui l’amico di mai. Cadde vittima di Morfeo. A bocca aperta con la testa appoggiata sul finestrino, era questa la dinamica della maggior parte dei suoi viaggi ferroviari. Adorava dormire in treno. Quell’antico mezzo era per lui una specie di sedativo naturale. Dormire, dormire beatamente.

Si sedette, davanti a lui una graziosa fanciulla. Palesemente bionda, di un biondo appariscente, di una bellezza che ti schiaffeggia di quelle che fanno male e che non ti lasciano nemmeno il tempo di assaporarle. Fintanto se ne accorse, pensò anche che forse sarebbe stato cosa buona e giusta provarci, ma il treno è un sedativo. Dormire.
L’amico si vergognava di quella bocca aperta, si limitò a fare finta di non conoscerlo e  a tentare tramite strani sguardi un approccio con quella paradisiaca creatura. Inutile raccontarne gli insuccessi. Lei sapeva solo schiaffeggiare.

Ambra lo aspettava all’uscita della stazione come tutte le mattine negli ultimi tre anni, esclusi i sabati le domeniche e i giorni festivi. Fintanto salutò i suoi amici con un’altra battuta che fece ridere tutti e si diresse verso la sua ragazza. Sorrideva. Lei sorrideva sempre, nonostante il suo sorriso non fosse splendido, nonostante i suoi denti. Fintanto odiava i suoi denti, il suo sorriso lo irritava la visione di quei denti così diversi dalla perfezione dei suoi. Non le poteva impedire di sorridere quindi si limitò a focalizzare il suo sguardo sugli occhi anch’essi ridens. Lei lo amava tantissimo.  Fintanto, da parte sua, non  sapeva se l’amava e non è che se lo chiedesse spesso, constatava semplicemente che con Ambra non aveva compiti, poteva non farla ridere, in questo modo si risparmiava anche la visione di orridi denti incastrati l’uno all’altro, poteva non dire le parolacce, che caratterizzavano il linguaggio di tutto quel mondo che c’era fuori dal suo relazionarsi con lei, poteva essere sereno. Lei lo faceva riposare, era per lui una specie di sedativo, una specie di strano rifugio dalle sue battute. Un treno a suo modo. Lo faceva dormire a suo modo.  Era Ambra il finestrino a cui  si poteva mostrare a bocca aperta.

Con la serenità nel cuore, come tutte le mattine Fintanto e Ambra percorrevano il cammino dalla stazione fino all’università insieme. La strada si riempie di giovani menti che camminano come automi a quell’ora, tutti nella stessa direzione, in una strana processione premonizione di processioni e di tempi ben più tristi. La strada diventa confusa, strani suoni la riempiono all’improvviso: risa, teoremi, teorie, ipotesi, vigliaccherie, ipocrisie, riforme, esami, tasse e borse di studio, feste  e così via.  Tutto condensato in pochi metri, in pochi minuti di cammino. Fintanto e la sua fidanzata facevano parte di questo confuso plasma, solo che si distaccavano un po’ dagli altri lo facevano sempre, perché a loro la confusione non piaceva e volevano proteggere la serenità che vibrava nell’aria tra loro due. Era la cosa più sacra che avevano. Era il loro doppio legame.

-Che cosa fai oggi?
-Lavoro alla tesi.
–Sei solo?
-Sì.
-Ciao amore, dopo se finisco presto vengo a salutarti.
-Okay.

-Ah, Vai a mensa a pranzo?
-Non so, non credo. C’è troppa gente.
-Okay, allora ti chiamo dopo.
-L’hai pagato la retta?
-Sì.
-Ciao.
-Ciao.

Solita aula studio, solito posto. Solita materia. Ultimo esame. Nessuna voglia. Erano secoli che gli mancava questo esame. Secoli che stava dietro a quella roba. A tanti appelli si era iscritto, tante volte aveva provato a darlo, ma aveva sempre miseramente fallito di fronte alla porta terribile con scritto Prof. Ivan Mascagni, Ivan il terribile, non era mai entrato. Che cosa gli accadesse nessuno lo sa. Non lo sapeva nemmeno lui. Era semplicemente paralizzato. Nessuno sapeva di queste sue paure, a nessuno ne poteva parlare, lui era Fintanto, il Fintanto della battuta di prima mattina che ti mette di buon umore. Il Fintanto alto, grosso, che a tutti gli esami aveva preso trenta, il Fintanto che non aveva mai fallito. Non poteva dire che aveva una paura così infantile, così stupida, così invalidante. Andava avanti così, con quella materia che ormai sapeva a memoria ma con una porta che non riusciva mai ad aprire. A chi glielo domandava rispondeva che stava lavorando alla tesi, e tutti si aspettavano da un momento all’altro il giorno della sua laurea. Lo attendevano a gloria in casa, lo attendevano i suoi amici, i ragazzi del treno, lo aspettava anche Ambra. Lo aspettava con discrezione lei, non glielo rammentava mai. Vedeva in lui una certa insofferenza nel parlarne, e da animo delicato quale era preferiva non toccare l’argomento. Anche per questo a volte Fintanto pensava di amarla, di amarla davvero, per la sua delicatezza. Così nuotava da solo nella propria melma, in un mare fangoso di piccole bugie, innocue per gli altri, ma deleterie per lui.

Accese il computer e si mise a giocare a solitario. Tirò fuori i libri, li guardò e tornò  a  giocare a solitario, poi cambiò gioco, passò agli scacchi e poi il sudoku, era bravo. Almeno in quello era bravo.  Tirò fuori la sua retta universitaria. La posò sul tavolo e passò un’oretta della sua vita nel guardare quel foglio e quelle cifre. Lo faceva da un po’ di mattine. Non riusciva a decidersi. Leggeva in continuazione il suo nome scritto su quel foglio, se lo ripeteva tra sé e sé, leggeva il numero della sua matricola e davanti aveva sempre la porta di Ivan il terribile. Avrebbe voluto farsi del male. Stringeva le mani, si picchiava il petto in un laico e denso mea culpa. Non capiva il perché di quel suo atteggiamento. Detestava quel suo giocare a solitario. Detestava il Fintanto distrutto, a terra per colpa di una porta che non riusciva ad aprire. Si detestava. Picchiava il petto, picchiava il petto e muoveva il re.

Poi gli occhi a causa di una delicata pressione si chiusero, due calde mani circondarono la sua testa. Era lei. Era Ambra. Lo abbracciò con tenerezza. L’oggetto dell’attenzione di Fintanto attirò anche quella di Ambra. Guardò il foglio, guardò Fintanto.

-Amore mio, annegherai in questo mare di piccole bugie che racconti. Questa la vado a pagare io. Hai i soldi?

Fintanto la guardò con amore immenso, mentre lei gli prendeva il portafoglio delicatamente e si allontanava dall’aula sorridendo preoccupata, la amò intensamente mentre lei faceva quello che lui non era più in grado di fare, la amò intensamente mentre vedeva come lei lo aiutava. Per la prima volta amò anche il suo sorriso, andò oltre ai suoi denti.Speriamo che abbia capito. Speriamo che almeno lei abbia capito.

La chiamò e le raccontò tutto ciò che lei già sapeva. Lei aveva capito. Oh se aveva capito.
Sollievo, indimenticabile sollievo.

15 risposte a “Fintanto, ovvero il delicato bisogno di comprensione

  1. Mi domando molto il perché del nome Fintanto…?

    Da accanito lettore de “La Ruota Spezzata” non posso fare altro che ringraziarti per un altro ottimo lavoro e per alleviarci, farci sorridere, piangere, emozionare con questi tuoi piccolo grandi racconti.

    • C’è un perché ed è il fatto che stavo aspettando il treno, e che mentre aspettavo il treno mi è venuto a fare visita tale personaggio, ma non potevo scrivere fintantoché non fosse arrivato il treno e io mi fossi comodamente seduta, dovevo dargli un nome… Fintanto. Poi c’è un altro motivo ancora, ma non ti posso rivelare tutti i miei segreti.

  2. Mi colpisce molto l’immagine del sorriso di lei che a lui infastidisce anche perché la collego alla bocca aperta di lui che lei invece riesce ad apprezzare. E’ un rapporto impari.

    • Attenzione però io non ho detto che lei riesce ad apprezzare la bocca aperta di lui, lui si sente libero di mostrarglielo, come lei del resto si sente libera di sorridere. E’ impari sì, ma in altro senso probabilmente. Noi Ambra ancora non l’abbiamo sentita…

  3. Gran bel personaggio, con un nome che gli si cuce addosso. Se ne avesse avuto uno “normale” non so se avrebbe reso l’idea allo stesso modo.

  4. Stavolta mi hai sollecitato l’amarcord! E’ strano come le giornate, le ansie, i problemi degli universitari si somiglino a dispetto delle parti e degli attori in ogni tempo. Con Ambra Fintanto non deve recitare, può essere se stesso per quel minimo che a tutti è consentito. Capire è oltremodo anfibolico, lascia spazio, perché tutto possa continuare. Brava!

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